Io sono il chitarrista del diavolo e tu TI DEVI SPAVENTAAAAAARE! Richard Benson: tra tecnica, parrucche, Nani e Madri Tortura (di Alessandro Di Giuseppe)

Ieri, durante una serata alcolica-a Roma fa freddo e il pachistano ha le birre a due euro-ho scoperto di avere, nella tasca interna del mio giubbettino di pelle, la mia carta d’identità.
Adesso, non so che effetto fa a voi ma io, quando guardo la mia foto sulla carta d’identità-una vecchia foto in cui avevo ancora i capelli, mi ero fatto la barba ed il mio sguardo ebete era fisso verso l’obiettivo della fotocamera-, mi sembra sempre di essere un cretino.
Che poi, se ci pensiamo bene, le foto della carta d’identità e della patente, in realtà, non sono immagini che ci rappresentano: le abbiamo fatte a diciotto anni! E a diciotto anni, praticamente tutti, siamo brutti: siamo coperti da tutta una serie di brufoli che ci spuntano nel cuore della notte; noi maschietti cambiamo la voce; voi femminucce iniziate a diventare stronze e nessuno di noi ha voglia di fare niente.
Se torno indietro a quegli anni-anni pieni di compiti che non volevo fare, litigi con i miei ed una routine quotidiana costruita attorno al fatto che dovevo uscire e parlare al telefono con la mia ragazza (ebbene sì: prima di diventare Ebenizer Scrooge, anche io avevo una ragazza)-non salvo niente di quello che ero.
In quegli anni, però, oltre che ai brufoli, era nata in me la passione per il metal.
Sì, il metal, avete presente, no? Croci al contrario, sacrifici umani, capre sgozzate, gente che urla in un microfono, gente con maschere che scapoccia, ragazze rasta sporchissime ed incazzatissime, motociclette che facevano un sacco di casino.
Insomma, lo avete capito: ero un metallaro ignorante!
La cosa bella di essere un metallaro ignorante, però, era il fatto che ti arrivava un sacco di musica e che la scoprivi così, perché qualcuno aveva la maglietta di una band che tu non avevi mai sentito e tu correvi ad ascoltartela-ed è stato esattamente così che io ho conosciuto gli Emperor ed gli Slipknot- oppure ci si passava i dischi masterizzati illegalmente e senza nessun tipo di tracklist (spesso non sapevamo neanche come si chiamavano le band che ascoltavamo).
Ed una volta, durante una delle nostre litigate estive-si litigava sul fatto che “In the Nightside Eclipse” degli Emperor era molto più bello del “Midian” dei Cradle Of Filth-, qualcuno disse, scherzando, che il più bravo di tutti era Richard Benson.
Io non lo conoscevo, me lo sono andato a cercare e sono entrato nel meraviglioso mondo del trash musicale

spaventati

Parlare di Richard Benson, in realtà, non è poi così facile: tutti siamo abituati a vederlo come uno strano (e anche un po’ ridicolo. Ridicolo perché si prende estremamente sul serio) imbonitore che urla e strepita e si strappa i capelli (sicuramente finti) perché in tv non passa nessun pezzo metal o rock.
Ecco, se avete questa immagine di Richard Benson-un uomo un po’ ridicolo, preso in giro da Max Tortora all’interno del suo programma-, almeno per il momento toglietevela dalla testa. Ripartiamo dal principio, da quello che, per gli adepti di Richard, potrebbe essere considerato “IL NATALE DEL MALE!”.
Richard Benson, che all’anagrafe si chiama Richard Philip Henry John Benson, nasce a Woking, Londra, il 10 marzo del 1955.
Ecco, già questi prima dati anagrafici su questo personaggio, dividono il pubblico e i detrattori: c’è chi dice che sia nato a Roma e che, in realtà, si chiami Riccardo Bensoni; chi crede a tutto quello che dice.
Il buon Richard, per fucare ogni dubbio riguardo la sua origine, ha esibito a più riprese, il suo passaporto. Questo:

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Procedendo per gradi, la famiglia Benson si trasferisce in Italia, a Roma e Richard, pressoché ventenne, inizia a militare in varie band rock sperimentale e progressive. La più importante, i Buon Vecchio Charlie, riescono anche a comporre e registrare un disco che prende il titolo dal nome della band.

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Ecco, se siete tra quelli che conoscono Richard Benson soltanto per le sue sfuriate o per quello che accade nei suoi concerti recenti-ci arriveremo- starete già pensando che questo disco farà sicuramente cagare.

Ebbene no, vi sbagliate di grosso: Buon Vecchio Charlie è un bel disco! Un disco intenso, pervaso da quella vena acoustic folk prog rock degli anni ’70- c’è qualcosa dei Black Widow di “Come to the sabbat”, si sentono le influenze dei Genesis, ovviamente dei Pink Floyd dell’iniziale periodo psichedelico e c’è qualcosa della P.F.M. dei tempo migliori e del Banco Del Mutuo Soccorso- ed è un piacere da ascoltare.
Il disco è stato un successo in Giappone ed è stato l’ultimo disco di questa meravigliosa band.
Sembrerò ripetitivo, ma Buon Vecchio Charlie è veramente una bomba.
Tutto lasciava quindi ben sperare, al nostro caro Richard Benson. Purtroppo, la vita, ogni tanto, è proprio stronza e la band si scioglie. Richard continua la sua attività solista e gli altri componenti della band si distribuiscono in altre band. Anche il disco esce soltanto negli anni ’90.
Dopo lo scioglimento dei Buon Vecchio Charlie, Richard Benson inizia la sua attività di speaker radiofonico e di conduttore televisivo in piccole emittenti. La sua specialità? La musica.
Sono anni pieni di programmi e di trasmissioni radiofoniche. Il pubblico cresce esponenzialmente.
Nel 1992, Richard Benson fa una parte nel film “Maledetto il giorno che t’ho incontrato” di Carlo Verdone (se ti interessa sapere cosa ne pensiamo di questo film,  trovi la recensione in questo  blog, nella sezione “Cinema”) in cui interpreta la parte di sé stesso: la parte del conduttore della trasmissione musicale “Juke Box all’idrogeno”

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Nel 1999, il pubblico può ascoltare finalmente un nuovo disco di Richard Benson: esce infatti, grazie al lavoro della Playgame, “MADRE TORTURA”.

Se avete visto qualche suo video del vivo, questo titolo vi suonerà famigliare. Se non conoscete nulla di Richard Benson, “Madre Tortura” è un disco composto da 7 canzoni di cui soltanto tre sono cantate, una e recitata e due sono strumentali.

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“Madre Tortura” è il disco che riporta Richard Benson dal vivo.
Ecco, in un concerto metal siamo abituati a tutto: dalle bambole gonfiabili ai pipistrelli strappati a morsi; dalle teste di capra scarnificate, alle donne nude crocifisse al contrario.
Ecco, ai concerti di Richard Benson succedeva qualcosa che, almeno in Italia, erano anni che non si vedeva: il pubblico lanciava di tutto verso il palco. E quando dico di tutto, intendo dire proprio di tutto: dalla carta igienica, alla verdura marcia, dalle uova al mitico POLLOOOOO!!!

L’attività dal vivo procede per un paio di anni, sempre con le stesse modalità: il concerto inizia, lancio di oggetti, lancio di insulti, varie divagazioni del Richard Benson-strani racconti di mitici concerti fatti con David Bowie, con i Kiss, con i Queen e l’ormai mitico racconto di quando un giovanissimo Marilyn Manson si sarebbe fatto accompagnare da suo padre ai suoi concerti americani- e il concerto viene fermato prima perché l’impianto o il palco diventa inagibile.
Nonostante dalle interviste traspaia il piacere del suonare dal vivo, in realtà basta guardare gli occhi di Richard live (e su Internet, di video live di Benson, se ne trovano a bizzeffe) per capire la depressione e l’insoddisfazione del musicista.
E l’insoddisfazione e la depressione di Richard sfocia, nel 2001 in un gesto estremo: si butta da Ponte Sisto a Roma.
All’inizio il musicista dirama il comunicato che quello è stato solo un incidente, che qualcuno lo ha spinto giù. In realtà, fonti ufficiose (gli amici intimi di Richard) hanno dichiarato che quello era stato un tentativo di suicidio dovuto all’artrite che gli impediva di suonare.
La riabilitazione è lunga e dolorosa e, alla fine, non riuscirà mai a suonare in modo veloce e sarà costretto a muoversi con un bastone.
In questo periodo iniziano le comparsate nei programmi di RAI2 a “Stile libero Max” dove viene preso in giro. Lo Sketch, in realtà, è molto semplice: viene chiamato come esperto di musica per giudicare alcuni scartati al festival di Sanremo.
I concerti, in questo periodo, continuano e gli organizzatori degli spettacoli decidono di circondare il palco con una fitta rete, una “gabbia”, che protegge Benson mentre suona. Questo, però, non ferma i suoi “fan” dal lanciargli di tutto

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In questo periodo, un lungo periodo che dura praticamente fino al 2015, Benson continua la sua attività di “presentatore televisivo” e di “opinionista musicale” in radio.
Nel 2015, finalmente, da alle stampe un nuovo disco: “L’inferno dei vivi”

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“L’inferno dei vivi” è un disco strano: la produzione, il missaggio ed il videoclip dei singolo sono prodotti e girati da Federica Zampaglione.
Sì, Federico Zampaglione: quello dei Tiromancino.
Il primo singolo, “i nani”, diventa una specie di hit e fa milioni di visualizzazioni su youtube.
Pochi giorni fa, però, il disastro: Richard Benson-ormai invecchiato e senza denti-annuncia a tutti l’uscita del suo ultimo disco “Duello madre”.
La cosa che dispiace, è vedere un vecchio che chiede soldi ai suoi fan perché sul lastrico.

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Cosa dire di questo personaggio?
Dispiace tanto vedere migliaia e migliaia di persone che, ad ogni suo concerto, lo prendeno in giro e gli tirano roba sul palco.
Non voglio fare piccoli moralismi, però dispiace molto, anche soltanto per una sorta di rispetto umano, vedere la degradazione pubblica di uomo. Perché, alla fine, pensiamoci, quanti di noi sono stati così? Quanti si sono presi troppo sul serio? Quanti di noi hanno suonato dal vivo facendo schifo?
Richard Benson, in definitiva, non può che addensare attorno a sé tutto il peggio di noi, tutto il peggio di internet: persone senza volto-perché massa, nei concerti, e tasti sui commenti- che mettono alla berlina un uomo, che lo umiliano, che lo maltrattano.
Potrà sembrare divertente, la situazione, per i primi cinque o sei minuti di video, ma poi, con un pizzico di (buon) senso, ci rendiamo subito conto di quanto tutto questo sia completamente gratuito ed infinitamente feroce: chi di noi, nella vita reale, si metterebbe mai ad insultare un vecchio che ha tentato il suicidio?
Ma il problema non è solo della massa.
Pasolini diceva che non c’è nessuno che sia innocente, nel mondo: la vittima è la giustificazione del carnefice. Non saremo così drastici, ma Richard Benson, in qualche modo e maniera, è anche lui artefice di questo meccanismo: esattamente come le donne picchiate che difendono il ragazzo/marito/compagno che le picchia, anche in lui scatta questo meccanismo psicologico di giustificazione e difesa (fateci caso, le interviste del Benson sui suoi concerti dal vivo sono tutte intrise da “la gente si diverte”, “il mio compito e farli sfogare”, “ci divertiamo tutti”). E questo per quale motivo?
Semplice: velleità.
Se il prezzo da pagare per stare in video è quello di rendersi ridicoli, allora si farà di tutto per andarci.
Interessante il fatto che, in un ideale percorso, la figura di Richard Benson sia un po’ il prototipo di quella generazione di “artisti” o aspiranti tali che si mettono nelle mani di individui come Andrea Diprè: l’importante è la visibilità, la visibilità è tutto, il resto passa in secondo piano.
La cosa veramente degradante è vedere il declino di uomo (quanti di noi hanno un nonno che inventa spudoratamente le cose?) registrato dalle telecamere, dagli obiettivi.
Se Werner Herzog, in “Lo and Behold”, vuole mandarci un segnale forte- “questo è il medioevo di Internet e tutto quello che ci faremo, nel bene o nel male, sarà studiato e preso a modello”-il modo in cui tutto il sistema dei media ha trattato Benson ci fa capire che l’unico valore fondante, in questo medioevo digitale, è l’umiliazione.
Richard Benson non sarà mai Nikki Catsuras (una storia molto interessante per tutti voi che siete appassionati di shock image), ma il suo destino è segnato: essere esposto per sempre nei suoi più imbarazzanti e delicati momenti di vita.
E adesso pensiamoci: è questo quello che vogliamo lasciare di noi alle generazioni future?