“…Non la vuole? Ne è sicura? Guardi che questa Bibbia è autografata da Gesù Cristo in persona!”. “Salesman”: In God We Trust (di Alessandro Di Giuseppe)

Sono le otto e mezza di mezza di una domenica mattina come tante altre. Siete rientrati da una notte di bagordi-il sabato sera, da quando sono finite le vacanze e siete tornati a lavorare, è l’unica cosa che vi consola e vi da vita-, ubriachi persi, alle sei, e la prima cosa che avete fatto, una volta rientrati a casa, è stato chiudervi in bagno, avvicinarvi al water, inginocchiarvi e, ripromettendovi che sarà l’ultima volta che bevete nella vostra vita, avete vomitato.
Alle sette è un quarto, dopo aver mangiato uno Jogurt al malto-una delle ultime cose che vi sono rimaste in frigorifero e che, lo sapete anche voi, vi darà un’acidità di stomaco devastante-, siete strisciati in camera da letto, vi siete spogliati e, finalmente, vi siete buttati sul letto. Mezz’ora di dormiveglia dopo, vi siete addormentati. Dormite da un’ora, la situazione è perfetta-finestra chiusa, copertina indispensabile, sonno alcolico che galoppa- e niente potrebbe rovinarla.
Prendete coraggio e riuscite a rigirarvi nel letto-il vostro stomaco, ormai, è una specie di botte in cui fermenta una mistura di Campari, Martini, Birra, Negroni, THC, Kebab, Gin, Assenzio e Jogurt-senza vomitare.
Siete tranquilli, rilassati, nulla potrebbe turbarvi.
Poi, all’improvviso, la serenità del vostro torpore alcolico è disturbata da un suono, un suono acuto, che strazia le orecchie, un suono che assomiglia ad una…SIRENA!
Una sirena?
Perché?
Vi alzate dal letto con la tachicardia-il vostro cervello e il vostro stomaco, nel fare quel movimento, hanno compiuto un’orbita completa su un asse immaginario-e iniziate a camminare per la stanza, cercando di riordinare le idee.
La ragazza carina di ieri sera, quella che pensavate fosse una bella scopata-usando le vostre parole: “potrei farmela anche da svenuta, mi verrebbe duro lo stesso!”-l’avete molestata o avete soltanto sognato di farlo?
Non lo sapete, non lo ricordate.
Oppure una telecamera vi ha beccato mentre rubavate le salsine dal kebabbaro e adesso vi sbatterano in una prigione del Bangladesh in cui la vostra punizione sarà di mangiare solo senape per un mese?
Oppure è perché hai fatto la pipì dietro ai cassonetti e adesso, per fartela pagare, ti taglieranno via i testicoli?
Non lo sai. L’ansia cresce. Ti infili il primo paio di pantaloni che trovi in giro, esci dalla tua camera e localizzi il rumore: viene dal tuo citofono. Prendi un respiro profondo, ti avvicini e, mentre alzi il ricevitore, ti senti come Edward Norton nella scena de “La Venticinquesima Ora” in cui gli trovano i panetti di cocaina nascosti dentro i cuscini del divano: una calma nervosa che si taglia con un coltello.
“Sì?” dici ai buchini dell’apparecchio. La tua voce dovrebbe essere sicura ma tradisce ansia.
Dall’altra parte non risponde nessuno. Una gocciolina di sudore inizia a scenderti sulla schiena.
“Chi è?” chiedi di nuovo, mentre la paura cresce in modo esponenziale.
Dall’altra parte del citofono sentite i classici rumori di fondo e poi una voce.
“Salve, buongiorno…” inizia “…Siamo della Parrocchia e volevamo chiederle se aveva una Bibbia in casa”.
A quel punto realizzate tutto, l’ansia si trasforma in rabbia.
“NON ME NE FREGA UN CAZZO DELLE VOSTRE BIBBIE!” urlate, prima di sbattere il ricevitore.
Con i coglioni girati tornate in camera, vi spogliate di nuovo e vi infilate nel letto.
“Chi cazzo è che vende ancora le Bibbie, quando Dio è morto???”
Noi lo sappiamo chi le vende,loro:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TITOLO: “Salesman”
ANNO: 1969
REGIA: Albert & David Maysles
PROTAGONISTI: Jamie Baker, Paul Brennan, Raymond Martos, Charles McDevitt, Kennie Turner, Melbourne I. Feltman, Margaret McCarron

TRAMA:
Jamie Baker, Paul Brennan, Raymond Martos e Charles McDevitt sono quattro venditori porta a porta. In cosa commerciano? In Bibbie! Tutto il documentario è incentrato su una settimana nella vita dei quattro. Tra strategie di marketing, convention, motel e confessioni, scopriremo cosa significa davvero essere un “salesman”, un venditore, della parola di Dio

Degli anni ’60 e ’70 abbiamo una caterva di immagini: ci ricordiamo tutti di Woodstock, del Vietnam, delle manifestazioni, degli concerti sold out dei Beatles, di Robert Plant che che liberava colombe sul palco, degli scontri di piazza e dei “figli dell’amore libero” che dormivano in tenda, si spogliavano, fumavano joint e facevano l’amore tra di loro in un sacco a pelo, dentro una tenda da campeggiatore.
Gli anni ’60 e 70 sono stati infatti, a tutti gli effetti, gli anni della liberazione del desiderio, dell’attacco alla “cultura patriarcale” e di tutta la contestazione.
La questione base delle immagini prodotte in quegli anni, però, era il fatto che fossero tutte strumentalizzate, catturavano una realtà “politica”.
I documentari-vedi “Welfare”-sono, invece, riusciti a cogliere la realtà per quella che era davvero, con tutte le sue difficoltà, con tutti i suoi problemi e tutti i suoi pregi.
Non staremo qui a parlare di Tano D’amico e di tutta la fotografia alternativa a quella alternativa a quella di sistema, ma tutto ciò ci serve a capire come si possano avere degli sguardi “ulteriori”-e forse anche più critici proprio perché svincolati dalle sovrastrutture (che danni che hanno fatto, in quegli anni, le riletture di Marx da parte di Sartre e di Althusser)- a quelli dettati dell’ideologia.
Gli anni ’70 dei fratelli Maysles sono, di fatto, diversi dagli altri.
Partendo dal principio del film, i Maysles decidono di introdurci i personaggi di questo documentario come fossimo in una specie di poliziottesco italiano: un’azione, un fermo immagine e, in sovrimpressione, il loro nome e il loro “nome di battaglia” (“The Rabbit”, “The Badger”, “The Bull”, “The Gipper”).
La storia prosegue mostrandoceli “al lavoro” e capendo le loro strategie di vendita-c’è chi si butta sulla questione del risparmio, chi su quella del buonsenso, chi su quella della fede.
Ecco, la questione della fede, in questo film, è toccata in modo molto duro ma anche molto maturo e pone una domanda fondamentale che, a momenti alterni, durante le loro confessioni davanti alla macchina da presa o tra di loro, i personaggi si fanno spesso: tutta la nostra fede è racchiusa davvero in un libro? Ed avere l’edizione dorata, da collezione, di quel libro aumenta la nostra fede?
Le macchine da presa dei Maysles, dopo una giornata più o meno proficua di lavoro, accompagnano i quattro nel loro albergo. Siamo nel ’69, lo yuppismo non è ancora nato, ma lo vediamo tutto in germe: i quattro parlano della loro giornata, di quanto abbiano venduto e delle loro strategie. Il “The Bull”, che ha venduto più di tutti, con il suo superalcolico da frigobar in mano, orgoglioso e tronfio per la presenze della troupe, spiega agli altri la sua strategia e mostra il blocchetto delle vendite della giornata.
Questo è il momento in cui tutto inizia seriamente ad essere messo in discussione: i quattro sono dei venditori di Bibbie, li abbiamo visti avere difficoltà nel riuscire a convincere qualcuno a comprare, li abbiamo visti fare chilometri a piedi o in macchina, ma adesso li vediamo come dei venditori puri: si lamentano delle zone che hanno girato, del problema del multiculturalismo che incentiva la diversità di religioni e delle vecchie che non si fanno “fregare” dall’offerta della Bibbia rilegata in oro e con i disegni originali.
La settimana dei quattro prosegue. Il più vecchio ha sempre più difficoltà nelle vendite, si deprime, non riesce a capire come farà a sopravvivere se non porta a casa una provigione, inizia a bere sempre di più e a sfogarsi davanti alla macchina da presa.
Questo è una specie di punto limite: se infatti la macchina da presa, nel documentario, è pronta a catturare ogni cosa, il contatto diretto del “testimone” che si segue appare sempre ambiguo.
A risollevare “il morale” dei venditori ci pensa la piscina del motel: decidono, per tirarsi su, di farsi un bagno notturno. Questo è l’unico momento in cui li vediamo sinceramente contenti di stare insieme: sembrano quasi tornati bambini, dei bambini che dovrebbero fare i compiti ma decidono di andare al lago a pescare, a farsi il bagno, a schizzarsi l’acqua a vicenda.
Una scena molto interessante è quella della convention dei venditori di bibbie, una specie di incontro motivazionale per tutti i venditori porta a porta sparsi per lo Stato.
Contestualizzandola meglio, arriva subito dopo un’altra sequenza in cui vediamo i “nostri eroi” cercare di vendere e fallire miseramente l’approccio.
La convention si svolge nella sala congressi di un hotel di lusso e, dal pulpito, inizia a parlare il responsabile della società. Il discorso è agghiacciante: si parla di “dovere” nei confronti di Dio, di “missione evangelica” che deve necessariamente sfociare in un fatturato perché “Dio ci ha mandato sulla terra per questo”.
Se fosse un film di Carpenter, qualcosa tipo “Essi Vivono Chiesa Cattolica Edition”, sarebbe tutto normale. La cosa che si spaventa è che è la realtà.
I Maysles riescono, in queste poche parole, a filmare tutta la grande “beffa” dell’America in relazione alla fede: la fede, la chiesa è un business, deve portare soldi, introiti, profitti e il peccato è accomunato alla mancanza di un investimento.
Le ultime due sequenze che vi segnalo sono interessanti per capire come il film si incardina nel presente e del vero rapporto che c’è tra la fede e il denaro.
La prima riguarda una vendita: uno dei nostri venditori riesce a farsi aprire la porta da una famiglia di operai. Loro li fanno accomodare in salotto, ascoltano tutta la storiella per farsi vendere la Bibbia, firmano e poi mettono su, con orgoglio, un disco in cui si sente una canzone dei Beatles. Il venditore, che chiaramente non sa nulla di musica, ascolta attento nonostante il tutto sia palesemente stonato e fuori tempo.
Scena interessante perché rispecchia il meccanismo che sta alla base del “marteking della fede”: la Bibbia diventa un atto di consumo, un mero oggetto che può essere messo al pari di un disco di Rock ‘n’ Roll, forse la cosa più lontana da accostare ad un oggetto sacro.
L’ultima sequenza di cui voglio parlare riguarda un’altra vendita. Uno dei quattro riesce a farsi aprire da una donna, ragazza madre, single, che fa la cameriera e vive in una casaccia. Lei fa entrare il venditore e la troupe, il venditore inizia a recitare il copione aprendo le bibbie, la donna guarda un’immagine che rappresenta il paradiso terrestre e lo sguardo diventa terreo, triste, malinconico. La manfrina del venditore continua sui punti forti (il peccato, l’oggetto da collezione, il ricordo per i figli), ma la macchina da presa rimane sullo sguardo di lei. Lei, tra tutti i possibili acquirenti, sembra la sola ad aver bisogno davvero di una parola di conforto, di qualcosa che la tiri su.
La vendita non si fa e il venditore se ne va arrabbiato.
In questa scena c’è tutto il film: la religione per i poveri si è trasformata in un business per ricchi e l’anima non conta più.