…Che poi, alla fine, per essere felici bastano solo tre cose: il viso di Conny, lo scodinzolare di Tanta Lou e le torte di Olga. “Merenda da Hadelman”: dolci, cani, pupe e pallottole (di Alessandro Di Giuseppe)

Un primissimo piano della targa inchiodata sul portone di una villa di lusso. Entriamo nell’ingresso della villa: uno scalone a chiocciola sulla destra, un colonnato, l’ambiente è sfarzoso ed elegante. In sottofondo sentiamo il suono del campanello. Dal fuori campo entra un maggiordomo. Apre la porta e fa entrare l’ospite: è un uomo vestito elegante, un po’ rude nei modi, il viso duro e segnato dal tempo. Appena entra si toglie il cappello. Il maggiordomo sparisce e lui si muove per l’ingresso della villa, guardandosi attorno. Dalla scala scende una ragazza vestita in abiti succinti (magliettina stretta, gonna corta che le scopre le gambe), guarda l’uomo, lo provoca, i due flirtano-lei sempre più disinibita e lui che studia la situazione-fino a quando lei gli si butta tra le braccia, continuando a provocarlo. Da una porta esce il maggiordomo, interrompe la scena e dice all’ospite che il padrone di casa è pronto a riceverlo nella serra e poi apre la porta dell’anticamera da cui si entra nella serra. Prima di entrare l’ospite chiede chi sia la ragazza
“La figlia del generale” risponde il maggiordomo.
L’ospite fa una battuta al vitriolo e poi entra nella serra.
Ve la ricordate questa scena, vero? Questa è la magnifica sequenza che apre quel capolavoro assoluto che è “The Big Sleep” (Il grande sonno) di Howard Hawks.
L’avete visto, vero?
Beh, se non l’avete visto, oltre che a dovervi veramente vergognare (dai, cazzo, anche i sassi conoscono IL GRANDE SONNO!), dovete sentirvi sporchi nell’anima perché questo film, tratto da un magnifico romanzo di Raymond Chandler, ha ricreato il personaggio di Philip Marlowe al cinema e ce lo ha reso come piace a noi.
E come piace a noi Philip Marlowe? Semplice: con il viso, il fisico, le movenze e la voce di Humphrey Bogart!

Humprhey Bogart è stato, per noi cinefili, quello che Jimi Hendrix è stato per la musica rock: una specie di divinità, un attore che, soltanto vedendolo emergere dal buio fumoso di un Casino o da un fiume sporco nel far west, riusciva a farci entrare in un mood che ci avrebbe tenuto incollato allo schermo.
Se a questa dote di attore aggiungiamo anche il fatto che recitava spesso con sua moglie e che sua moglie era Loren Bacall, beh, cosa puoi volere di più da un film in bianco e nero?
Tornando alla scena con cui abbiamo aperto questo articolo, la meravigliosa sequenza iniziale de Il grande sonno, perché ci cattura?
I motivi sono diversi: perché, in quella villa, si respira un’aria viziata e torbida, perché c’è una ragazzina (probabilmente minorenne) che cerca di sedurre uno sconosciuto, perché il padre è nascosto in una serra e perché lo sconosciuto che entra, l’uomo con il viso fascinoso e provato dagli anni, è un poliziotto in pensione.
Sì, so cosa state pensando: il poliziotto in pensione chiamato per controllare la figlia del capo è un cliché vecchio come il mondo e che non ci puoi tirare fuori più niente di buono.
Questi sono i due motivi per cui vi state sbagliando: primo, ridurre Il grande sonno ad una storiella d’amore trita e ritrita non solo è stupido, ma è anche falso-il quel romanzo e in quel film, tra spari nella notte, ricatti, inseguimenti e cadaveri nascosti, la storiella classica d’amore ad un certo punto sparisce-; il secondo è perché un mucchio di bei film si basano su questo concetto. Uno tra tutti? Die Hard.
Die Hard.
The big sleep.
Queste sono le solite americanate che non potrebbero mai funzionare in Italia.
Ne siete sicuri? Pensate davvero che il noir in Italia sia soltanto Don Matteo e Dio vede e provvede?
Scommettete che vi faccio cambiare idea?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TITOLO: Merenda da Hadelman
AUTORE: Nicola Manuppelli
CASA EDITRICE: Aliberti
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2016
PAGINE: 214

TRAMA:
Hadelman, vecchio poliziotto appesantito dagli anni di servizio e dai suoi problemi cardiaci, a cinquant’anni è arrivato al capolinea della sua vita lavorativa e affettiva: tre matrimoni falliti alle spalle, gli ultimi anni di servizio passati dietro una scrivania e metà della vita passata tra i criminali. Per non spararsi un colpo in testa, Hadelman passa tutte le sue serate a tirare cazzotti in una vecchia palestra e sbronzarsi. Quando però la solitudine diventa troppa, decide di prendersi un cane. Il suo rivenditore? Un vecchio criminale che organizzava corse e combattimenti clandestini tra cani. Ma cosa succede quando quel suo strambo amico lo mette in mezzo ad una storia fatta di criminali e combattimenti clandestini? E perché, a cinquant’anni suonati, Hadelman inizia a fare il barista? E perché Conny, la ragazza che lavora nell’agenzia di viaggi di fronte al suo bar, è così bella e pericolosa?

A due anni da Bowling, il suo primo romanzo (ne abbiamo parlato un annetto fa, se spulciate tra i nostri articoli lo trovate), dopo una bella serie di traduzioni (ricordiamo quelle meravigliose di Andre Dubus e di Charles Baxter), un tour letterario fatto insieme a Robert Ward e Claudio Marinaccio, delle splendide lezioni di letteratura americana ed un lavoro da editor, Nicola Manuppelli è tornato in libreria con un nuovo romanzo: Merenda da Hadelman.
Ogni volta che si legge e si scrive di un libro di Manuppelli si corre sempre un doppio rischio: dire troppo e non dire abbastanza. Per evitare di perdere dei pezzi per strada (tranquilli, vi assicuro che succederà anche questa volta), cerchiamo di andare con ordine. Per riuscire a capire a fondo questo romanzo, dobbiamo andare un po’ indietro e rispolverare un genere: l’hard boiled.
Per non fare la lezioncina, ci basterà dire che l’hard boiled è un genere derivato dal noir e dal poliziesco e che ha due caratteristiche importanti: le ambientazioni foschissime e violenza e sesso a gogo.
Scrittore venerato nel mondo dell’hard boiled è Raymond Chandler.
Manuppelli, riprendendo le fila di un discorso partito nel 1930, riesce quindi ad incardinare, nella struttura solida dell’hard boiled-ci saranno all’interno tutti i personaggi ricorrenti del genere-, il suo discorso di umanità.
Sì, di umanità.
La vicenda si apre con la descrizione della misera vita di Hadelman e dell’unico evento, di per sé potrebbe sembrare insulto e quasi meschino, che gli cambia la vita e gli da una specie di piccola speranza per il futuro: l’acquisto di Tanta Lou, il suo cane.
Hadelman, assuefatto ad un mondo ormai corrotto e criminale-a volte sembra di ripercorrere quelle vie di una “Milano violenta” che si vede solo di notte e che ha prodotto tutto un filone di film poliziotteschi-, si muove come una specie di intruso nella sua città: gli unici posti che conosce bene sono casa sua (un appartamentaccio tenuto malissimo), una vecchia macelleria ristrutturata a palestra, la sua vecchia caserma ed il suo bar. Gli ultimi amici che gli sono rimasti sono alcuni dei vecchi criminali che ha messo in prigione, il barista e Olga, l’ottantenne che abita dall’altra parte del pianerottolo.
Il sogno della vita Hadelman, lo notiamo fin dall’inizio, non voleva essere un eroe e, probabilmente, non voleva neanche essere un poliziotto: nella sua vita di ragazzo ha vivacchiato, si è arranggicchiato e poi, all’improvviso, il concorso per la polizia e la scuola d’addestramento.
Non vi ricorda qualcosa? Non vi ricorda le centinaia di ragazzi che, ogni giorno, per un motivo qualsiasi decidono di arruolarsi?
E la vita di Hadelman nel distretto, in un mondo fatto di cameratismo e potere, alla fine dei giochi cosa gli ha dato? Nulla: non c’è nessuno dei suoi vecchi colleghi con lui, non ci sono le serate a parlare dei bei vecchi tempi andati e non ci sono sconti polizia. Hadelman è soltanto un tassello a cui, ad un certo punto, non funzionava bene il cuore ed è stato sostituito e degradato, nel lavoro come nella vita. La cosa paradossale è che, nella sua degradazione, nella sua caduta in mondo squallido e popolato da criminali, il vecchio Had trova la sua dimensione: i criminali che aveva arrestato-tutti crimini minori, nulla di così grave-lo hanno ormai perdonato e l’ultima persona al mondo con cui un vecchio spaccone di poliziotto potrebbe diventare amico, un’ottantenne che passa la sua giornata a cucinare dolci che non potrà mangiare, diventa una specie di seconda mamma.
L’umanità che traspare da queste pagine sembra essere quella vera, quella che si toglie le maschere, i distintivi, le divise e i cartellini e che, in qualche modo, ti guarda con gli occhi puri di un bambino che si fida di quello che fai.
Sì, lo so che potrebbe sembrare strano sentire di criminali innocenti, ma questo sembra il filo del racconto: i criminali, si scoprirà nel corso della storia, come nel più classico dei film di Lang, sanno davvero come va il mondo, quali zone sono intoccabili e quali si possono battere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Andando avanti con la narrazione, il cammino di Hadelman verso il vero senso della vita, prosegue nel modo più avventuroso e misterioso possibile: Bilco, il criminale che gli ha venduto il cane e il suo ultimo amico, lo tira in mezzo ad un losco affare. La sua parte è semplice: deve prendere in gestione un locale davanti ad un’agenzia viaggi dove lavora Conny, la figlia di un altro criminale, e controllarla.
Hadelman accetta. Il primo giorno dietro un bancone si trasforma, per lui, in una specie di seconda nascita: tra spillatrici, piatti da lavare, tramezzini e menù pranzo sembra davvero piacerli.
Inquietanti presenze, però, cominciano ad aggirarsi attorno al locale: strani tipi vestiti eleganti prendono bicchieri di latte pagati troppo, figli di boss adocchiano la vetrina. Ma il tutto è addolcito da Conny.
La cosa che unisce Had e Conny, lui ex poliziotto e lei figlia innocente di un criminale, è sempre il legame d’umanità: se Had è stato costretto a fare lo sbirro, Conny lavora grazie al padre.
Le due vita, inevitabilmente, si attrarranno.

Per tornare un po’ alla trama, i giri notturni nei dintorni di una Milano oscura ci mostrano un mondo sotterraneo fatto di scommesse illegali ed incontri clandestini di lotta.
Hadelman rimane sconvolto: il dipartimento chiude un occhio per la solita cresta e lascia morire animali e uomini.
Le peripezie continuano fino a quando Had, in un letto d’ospedale, cerca di scrivere una specie di decalogo per la felicità: le torte di Olga, Lo scodinzolare di Tanta Lou, il sorriso di Conny.
Forse sono queste piccole cose a fare la differenze? Possibile che ci voglia davvero così poco per essere felici?

Un romanzo dal ritmo incalzante, con una spruzzata abbondante di autobiografia (Nicola Manuppelli, prima di diventare quella specie di deus ex machina letterario che è adesso, si manteneva facendo il cameriere in un bar) ed un tema di fondo stupendo che ricorda lo splendido finale di Manhattan di Woody Allen: “Devi fidarti, sai, delle persone”.
E forse è proprio questo quello che vuole dirci questo romanzo: fidarci delle persone, a volte, non è una scommessa persa.