Di solito ce la caviamo ma questa volta, beh, questa volta “L’abbiamo fatta grossa” (una recensione di Alessandro Di Giuseppe)

Dire che il cinema è in crisi, è una cosa vecchia e falsa: se pensiamo che questa è l’arte più giovane (ha “solo” 150 anni) e che Antoine Lumière, il padre dei famosi fratelli “inventori” del cinema, disse che l’invenzione dei figli era “una scoperta senza avvenire”, capiamo che tutti i nostri grandi discorsi da cinefili e cinecritici sono inutili. Se pensiamo che poi il cinema, con la sua “sanguinosa” storia di brevetti rubati, “star system”, sceneggiature maledette, stunt morti, intrighi e ricatti che manco una serie intera de “Il Segreto” potrebbe fare meglio, nonostante tutto, sia ancora viva e continui a produrre, allora dovremmo stare zitti, metterci comodi e, sopratutto, andarli a guardare, i film che si producono. Perché dico questo? Ma perché sparlarne è facile, dire che il cinema è morto, che gli effetti speciali hanno mangiato la pellicola, che non ci sono più i registi di una volta, che gli attori non sanno recitare e che il cinema è diventato soltanto un business, lo sanno fare tutti. Ma poi, diciamoci la verità, dei circa 1500 film che escono nelle sale ogni mese, noi che ne parliamo così male, quanti ne vediamo? Studiando cinema, avendo amici cinefili e stra laureati nella materia, posso dire, senza il dubbio di sbagliare, che ne vediamo molto pochi. Molti li scartiamo perché non ci garbano (di solito, non sempre, ci azzecchiamo); alcuni perché c’è quell’attore che, porca troia, mi sta sulle palle. Altri film li perdiamo per il regista, per i troppi trailer o per i cartelloni che ci rompono le palle. Insomma, a conti fatti, passiamo molto più tempo a guardarci i film sul pc o in tv, a perderci nel mondo della Grande Hollywood, della Nuova Hollywood, della Nouvelle Vague e del cinema di genere o d’autore degli anni andati, piuttosto che andare al cinema. E, visto che io sono uno di quelli, dico pubblicamente che ci dovremmo vergognare: facendo così dimostriamo che la Nouvelle Vague, che noi abbiamo studiato, guardato ed amato, è passata invano. Perché sto facendo un’introduzione così dura? Perché quando mi rendo conto di essere un coglione e di aver sbagliato, devo cazziare me stesso e tutti gli altri. E anche se, di solito, quando vado al cinema a guardare un film italiano, due volte su tre sbaglio (vedi quella CAZZATA IMMANE! di Suburra), il cinema ci regala delle cose che non ci aspettiamo e che, pur non essendo dei capolavori, ci regalano un’ora e mezza di allegria. Truffaut diceva che il cinema è la vita vera senza i momenti morti. Questo film, a modo suo, ce lo dimostra. Vuoi saperne di più? Aspetta solo un secondo e avrai tutte le informazioni che cerchi:

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TITOLO: L’abbiamo fatta grossa

REGIA: Carlo Verdone

SCENEGGIATURA: Carlo Verdone, Pasquale Plastino, Massimo Gaudioso

CAST: Carlo Verdone, Antonio Albanese, Anna Kasyan, Clotilde Sabatino, Massimo Popolizio, Eugenio Krauss, Simona Caparrini

TRAMA:

Arturo Merlino (Carlo Verdone), ex carabiniere con la passione per la scrittura, si è “reinventato” investigatore privato. Un lavoro interessante e potenzialmente molto redditizio, in una città grande come Roma. Purtroppo, la maggior parte dei suoi “casi” consistono nel recupero di gatti scappati ai padroni. L’unica, magra consolazione, sta nel fatto che Lena (Anna Kasyan), la barista dello sgangherato bar dove Arturo va a bere un goccio tutte le sere, ama i suoi romanzi noir e lo crede un investigatore privato. La sua vita monotona, divisa tra il suo modesto lavoro, una zia che crede che il marito sia ancora vivo e i manoscritti che produce, viene scossa quando Yuri Pelagatti (Antonio Albanese), attore teatrale, si presenta nel suo studio per chiedergli di pedinare sua moglie. Il motivo? Ha paura che vada a letto con l’avvocato divorzista e gli gonfi la mensilità da versare. Dopo qualche riluttanza, Arturo accetta il caso, pedina la coppia e, grazie ad una microspia, riesce a intercettare una conversazione. La moglie di Yuri e l’avvocato si vedranno con una valigetta contenente foto misteriose. Yuri e Alberto decidono di andare all’appuntamento e rubare la valigetta, ma scopriranno che non si tratta della moglie di Yuri. Aperta la valigetta, inoltre, troveranno un milione di euro. Tenerseli o restituirli? E poi, sopratutto, perché ci sono degli strani brutti ceffi che li seguono?

Dopo due anni di assenza dalla regia, Verdone torna al cinema con una commedia degli equivoci divertente e coinvolgente e inaugura una nuova coppia comica: Carlo Verdone e Antonio Albanese. I due attori, sicuramente non di primissimo pelo, infatti, hanno dichiarato che questo sarà soltanto il primo di una lunga serie di film. E se l’uno, Verdone, è ormai una specie di leggenda vivente nel mondo del cinema, l’altro, tra i tanti anni di cabaret, di comicità, teatro e ruoli drammatici (basta guardarlo ne “La Seconda Notte di Nozze” di Pupi Avati) si sta affermando al di fuori dei ruoli sciatti e macchiettistici a cui ci aveva abituato. Grosse speranze, quindi, per il futuro prossimo della commedia italiana. Ma senza andare troppo lontano, restando sul pezzo, “L’abbiamo fatta grossa” è un film che coglie nel segno: si presenta dopo alti e bassi del regista ed ha una sceneggiatura compatta, funzionale, con pochi elementi. E di pochi elementi, naturalmente ben amalgamati, è fatta una grande sceneggiatura. Se con “Compagni di scuola”, Verdone aveva confezionato un film drammatico e cattivo, con la sua ultima pellicola ci delizia con un’ora e quaranta di puro divertimento. Non mancano, però, tante grandi e alte citazioni. Alcuni esempi? Il nostro protagonista, al primo colloquio con Yuri, illuminato dalla luce della lampada, in uno stretto e angusto studiolo, non può che riportarci alla mente il, ben più noto, Humphrey Bogart de “Il Grande Sonno”: un uomo apparentemente rude, tutto d’un pezzo, abituato ad operare nei limiti della legalità. Ed è questa la maschera che indossa per darsi un tono, sopravvivere ed uscire dalla sua realtà e quotidianità da vinto.

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Un destino diverso è riservato al personaggio di Yuri. Introverso e vezzoso come soltanto i piccoli attori di teatro sono, Verdone lo sconvolge con un trauma: la separazione. E come affronterà questo trauma? Chiudendosi in un mutismo scenico. Qui la citazione è quasi banale: Liv Ullmann di quel meraviglioso film che è “Persona” di Ingmar Bergman. Interessante è il modo bergmaniano, speculare e similare con cui il regista ci mostra il trauma: la macchina da presa ci mostra il palcoscenico, l’attrice che fa il suo monologo, il nostro personaggio entra in scena, alla sua battuta, nonostante gli venga suggerita, non riesce a parlare.

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Il fatto che Verdone abbia voluto inserire due citazioni così palesi, evidenti agli addetti ai lavori e ai cinefili ma forse sconosciute ai fruitori del suo cinema, da un segnale in più di quanto, all’età di 66 anni, dopo costrizioni e patti con i produttori, il regista ami e continui ad amare il cinema. Prima ho citato la Nouvelle Vague. Ed è in questo senso che io inquadro il gusto citazionista di questo film. Perché di citazioni e di critiche vive e si nutre. La famosa scena, tanto vista nei trailer, della coppia vestita da prete e frate che deve trovare un cappotto, è molto più vicina alla famosa scena con i seminaristi a Porta Portese in “Ladri Di Biciclette” di De Sica, che al basso bagaglino. Come nella scena, divertente e polemica sui “vizietti” dei preti missionari, nel solarium si cerca lo sberleffo, anche piuttosto evidente, a “Gomorra” di Garrone. Fulci diceva che i giovani registi, nel 1994, non sapevano fare dei film politici divertenti, Verdone, con “L’abbiamo fatta grossa”, ce ne regala uno. Sì, un film politico e pieno di critica. Non voglio spoilerare ma nel finale, che a me ha ricordato tantissimo quel gran bel film che è  “Il Mattatore”, c’è il senso delle cose. Un film interessante per molti aspetti. Una commedia (quasi) perfetta. L’unico punto che non mi ha convinto, ma credo sia stato fatto per portare più gente al cinema, è l’inserimento di dialoghi e situazioni standard. Nel complesso, un’ottimo film di intrattenimento

VOTO: 7 e mezzo

foto di scena

STORIELLA: Dopo aver letto la sceneggiatura, Antonio Albanese, in quel periodo occupato in una tournè teatrale, data la sua ansia patologica, aveva paura di dimenticare le battute. Proprio come accade al suo personaggio nel film.