I peccati di guerra bucano l’anima e lasciano macchie d’inchiostro sulla pelle. Ennio Flaiano ci racconta la coscienza al “Tempo di uccidere” (di Alessandro Di Giuseppe)

Quando si parla di scrittori che sono nati ed hanno vissuto nella nostra città, nel nostro paese o nella nostra regione e poi sono diventati famosi, ma famosi tipo che i loro racconti sono finiti nei libri di antologia delle scuole superiori, la tendenza generale è quella di considerarli dei geni a prescindere e salvare, in toto, tutto. Un’altra tendenza, non meno disturbante ed inutile della prima, è quella, invece, di distruggere tutta l’opera e denigrare la persona, l’artista, il poeta o lo scrittore così, soltanto per sfizio, per gioco, perché è nostro conterraneo. La cosa bella è che, la maggior parte delle persone che fanno parte delle due categorie sopra indicate- che chiameremo, per comodità, gli adulatori e i detrattori-, solitamente hanno letto poco, pochissimo o niente dell’autore. Mi spiego: io sono abruzzese, vengo dalla regione della genziana, della ratafia e degli arrosticini, ho frequentato le elementari alla Gabriele D’Annunzio, le medie alla Fedele Romani, le superiori alla Ignazio Silone, quando c’erano premi importanti andavamo al Teatro Flaiano di Pescara e, per tutto questo lungo periodo, tutti mi hanno detto che quelle persone, che per me erano soltanto i nomi delle scuole in cui non volevo andare, erano dei miti, delle persone geniali e che dovevo leggerli. Alla mia domanda precisa (“da che libro devo iniziare, secondo te?”), però, nessuno sapeva rispondermi o lo faceva con risposte vaghe (“leggi le poesie dopo la guerra, quando non ci vedeva da un occhio, sono bellissime. Oppure i romanzi”, “Ha scritto tanti libri di linguistica, sono interessanti”, “i libri con quel personaggio, come si chiamava?, Pietro Spina! Ecco, quelli sono belli”, “Leggi gli aforismi”) che non centravano la domanda. E quindi, con il mio caratterino, ho deciso di diventare un detrattore di qualsiasi forma d’arte venisse dalla mia regione. Sì, lo so cosa state pensando adesso: “ma tu sei un coglione!”. Ed era vero, ero un coglione. E vi dirò anche cosa pensavo di questi personaggi:

1) D’Annunzio: “un pervertito che si faceva leccare il culo dai suoi cani, ha copiato Oscar Wilde e scriveva poesie di merda”

2) Romani: “non riesco a capire perché è importante: faceva il professore!”

3) Silone: “vince facile lui: parla di fascismo! Così siamo bravi tutti”

4) Flaiano: “lui si è trasferito a Roma e ha lavorato lì per tutta la vita: non è più abruzzese, perché lo venerate?”

Adesso, dopo aver fatto venire un embolo a qualcuno (mi dispiace “essere causa di tanti infortuni” (cit.), vi dirò che avevo quattordici anni, ero un metallaro ignorante e i capelli lunghi non mi facevano respirare il cervello. Ed aggiungerò, a mia discolpa, che tre anni dopo, giusto per curiosità, mi sono andato a leggere “Il Piacere” di D’Annunzio- un punto di partenza per molta della mia umile letteratura- e “Vino e pane” e “Fontamara”- da lì ho capito che Ignazio Silone, è forse il mio scrittore italiano preferito. Rimanevano Fedele Romani e Ennio Flaiano. Il primo, non l’ho ancora recuperato; il secondo, fino a tre settimane fa, continuavo a odiarlo: al DAMS, tra professori e studenti, piaceva a tutti. Ed io, che sono cresciuto ma sono rimasto un coglione, non volevo leggerlo. Poi, andando a cercarmi qualche informazione su Fellini su internet, scopro che Flaiano ha scritto il soggetto e  la sceneggiatura di quel capolavoro che è “8 e mezzo”. Ne rimango impressionato. Tre settimane fa, complice la mia Mondadori Card, entro in una libreria di Pescara per fare il mio acquisto del mese. Nello scaffale, nella sezione “Premi Strega”, ne trovo uno suo. Tra me e me penso: “Lo leggo così, almeno, mi tolgo questa cosa. Sicuramente mi farà schifo”. Come potrete immaginare, mi sbagliavo:

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TRAMA:

Durante una breve licenza, un ufficiale senza nome impegnato nella guerra d’Etiopia, si addentra in un foresta. Nella foresta, secondo i racconti e le indicazioni dei popolani, c’è una scorciatoia. Prendendo la scorciatoia, si arriva prima alla strada- e quindi ai camion- che permetteranno all’ufficiale di arrivare alla città più vicina, al comando più vicino e farsi curare un dente. Nella boscaglia, però scorge una donna che si sta lavando, completamente nuda, ad un rigagnolo, qualcosa di poco più grande di una pozzanghera. L’unico capo di abbigliamento che indossa la donna, è un turbante bianco. L’ufficiale, dapprima restio ad avvicinarsi-ha una donna, in Italia, che gli scrive lunghe lettere d’amore-, alla fine cede alla tentazione e, dopo un breve ed inutile lotta, i due si uniscono. L’ufficiale e la donna, accampatisi in una grotta, passeranno la notte insieme. A mattina, uno strano rumore sveglierà l’ufficiale che caricherà la rivoltella e sparerà, uccidendo la donna. Adesso, l’unica cosa da fare è nascondere il cadavere e fuggire, tornare al campo e dimenticare tutto. Ma perché, in un villaggio vicino, ci sono altre donne con lo stesso turbante bianco? Chi sono il ragazzotto ed il vecchio che scrutano ogni baracca? E, soprattutto, perché una grossa macchia, una pustola dolorosa, è spuntata sulla mano con cui l’ufficiale ha fatto fuoco?

Primo ed unico romanzo di Ennio Flaino, “Tempo di uccidere” gli è stato commissionato da Leo Longanesi, il famoso editore. L’incontro tra i due è avvenuto in uno dei tanti caffè intellettuali che lo scrittore frequentava. Se si pensa che quelli, posti frequentati anche da Orson Welles quando veniva in Italia, erano i caffè letterari, quelli di adesso ci sembrano delle caccoline inutili. Comunque, “Tempo di uccidere” è un romanzo crudo ed avvincente che riesce a coniugare, in modo mirabile, autobiografismo, critica, analisi storica e romanzo di finzione. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che Flaiano partecipò attivamente alla Guerra d’Etiopia e che altri grandi intellettuali vissuti all’epoca- il primo che mi viene in mente, forse perché uno dei primi e dei pochi che ne hanno parlato in modo approfondito, è Indro Montanelli- raccontano, con una vena di nostalgico orgoglio, quelle vicende. Un romanzo che non può non far pensare a cosa fosse la guerra d’Etiopia e tutti gli orrori collaterali che ha portato: donne letteralmente “vendute” come mogli; ragazze che lasciavano i propri villaggi per diventare delle prostitute di classe; bambini usati come schiavi; vite indegne di essere vissute. Il tutto è intessuto in una storia in cui appaiono tutti gli elementi del giallo: l’omicidio, l’indagine, la fuga, la ricerca di un nascondiglio, la paura di essere traditi anche e soprattutto dalle persone che si credevano amici, la donna da cui tornare e l’autorità sorda e cieca verso il cittadino.

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Flaiano, con questo romanzo intrigante, avvincente e surreale, intesse, in sottotesto, anche un’analisi storica che, in qualche modo, non può che anticipare tutto il discorso revisionista sulla seconda guerra mondiale (il libro è uscito nel 1947), senza tuttavia essere tacciato di buonismo, e che non può che ricordare, seppur in modo meno grottesco, la riflessione di Pasolini in “Salò”. Se in “Salò”, infatti, il discorso violentissimo è presentato attraverso torture, coprofilia e vessazioni attraverso cui le vittime devono passare per arrivare alla “terra promessa” (ricordiamo una delle battute che mi ha maggiormente colpito nel film:”questo è l’elenco delle persone che non si sono attenute alle regole. Verranno uccise. Tutti gli altri sono stati bravi e, come premio, verranno con noi a Salò”), “Tempo di uccidere” circoscrive il discorso e sembra dirci che la guerra è simile ad un viaggio di addio al celibato: tutto quello che succede in guerra, rimane in guerra. E non era forse questo il clima che si respirava, sul finire del secondo conflitto mondiale? Critica aspra e feroce nei confronti dei controllori della guerra che ricorda, l’ultima, magistrale sequenze onirica di “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”.

Libro consigliatissimo a tutti. Una lettura veloce e scorrevole (ci ho messo tre settimane perché sto facendo un trasloco mentre scrivo la tesi, correggo le bozze del libro, ne scrivo un altro e leggo altri due libri) che vi terrà incollati alle pagine

Voto: 10

Consiglio di lettura: prima di leggere questo libro, guardate “Nodo alla gola” di Hitchcock. Forse non c’entra nulla, ma a me ha aiutato tantissimo ad entrare nell’ottica