“…Lo nome mio è Alhes e queste sono le mie memorie”. “Kaera’Hul-Tomo del Cavaliere”: Alexander Vankenbach e il fantasy moderno (di Alessandro Di Giuseppe)

Nel 1955, prima che venissero create  cose come i selfie stick e Twitter-tempi bui, lo so: per farti una sega non avevi neanche un sito porno-, c’era un signore grassottello, con i capelli bianchi, la pipa sempre in bocca ed un sorriso da anziano che della vita sa cogliere il lato positivo.A  quell’uomo, un uomo intelligente, che aveva fatto la guerra ed era anche professore, piaceva tanto scrivere.

Niente di nuovo, direte voi. Semplicemente un uomo, un cattedratico con il ghiribizzo di scrivere. Non è una storia importante. E invece no, è una storia importantissima. Perché? Perché in quell’anno, nel 1955, quell’uomo diede alle stampe e pubblicò tre libri che aveva scritto. Quei libri, a distanza di 66 anni, sono ancora importantissimi ed hanno rivoluzionato il genere che quello scrittore, che quel professore con i capelli bianchi, la pipa sempre in bocca ed il sorriso da anziano che della vita sa cogliere il lato positivo, aveva deciso di usare.

Di chi sto parlando? Ma naturalmente di J.R.R. Tolkien e di una saga di libri che si chiama “Il Signore degli Anelli”.

Adesso avete capito perché il 1955, anche se era una anno senza Spotted Tette o le foto di Himorta, è stato un anno figo?

Adesso, dopo questa (breve?) premessa, dobbiamo dire una cosa: il Fantasy, le saghe sono sempre andate di moda e adesso, proprio in questi anni, c’è un grande fermento del genere. Un esempio tra tutti? “Il Trono di Spade” di J.R.R. Martin. Ma di J.R.R. Martin e de “Il Trono Di Spade” e di tutta la guerra intestina e le lotte tra i fan delle due saghe

MOMENTO SPOILER:

JON SNOW MUORE POI RESUSCITA POI MUORE E POI RESUSCITA DI NUOVO

Dovevo farlo. Perdonatemi.

Comunque, dicevamo, il fatto che il genere fantasy sia di moda, sia, in qualche modo, facilmente smerciabile, non rende qualsiasi scrittore che faccia Fantasy un grande scrittore. Perché? Perché è sempre la stessa vecchia storia: hai pochi elementi, di solito buoni, ma puoi fare una ricetta ottima o una schifezza. Di solito-non seguo le pubblicazioni fantasy, ma so che escono almeno dieci libri al mese di genere fantasy-sono storie tutto sommato anche belle da leggere ma che, in fin dei conti, non danno niente di nuovo: il personaggio tenebroso che sembrava uno stronzo diventa buono, la elfa/guerriera/sacerdotessa/amazzone che è una gnocca assurda che ci si innamora, tutti i personaggi di contorno che si rendono eroici in una battaglia e qualche draghetto o tramonto di sottofondo rendono il tutto più poetico.

Ma poi, a luglio del 2015, è uscito un libro più unico che raro.

Ed è un fantasy. Ed io l’ho letto. Ed ha più o meno tutti gli elementi di cui ho parlato prima. Ma questa volta sono amalgamati e strutturati in modo da creare una storia con dei personaggi sfaccettati e, soprattutto, che non sia la lunga cronaca di una partita di Dungeons&Dragon.

Di cosa sto parlando?

Ma di questo, naturalmente:

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TITOLO: KAERA’HUL-TOMO DEL CAVALIERE

AUTORE: ALEXANDER VANKENBACH

CASA EDITRICE: ERETICA EDIZIONI

ANNO: 2015

TRAMA:
Alhes, figlio di un umile fabbro, viene chiamato alle armi: deve difendere il ducato in cui, da quando è nato, vive. L’addestramento inizia, inizia anche la guerra e lui è costretto a parteciparvi. Il suo capo truppa, però, è un traditore: durante un attacco, aiutato da un esercito rivale, uccide tutta la truppa. Alhes viene colpito a morte. Ma non muore e in un lungo e allucinato sogno, la profezia del Duca si realizza: lui è un eletto, uno scelto, uno dei pochi che può essere “Posseduto” da un Kaera’Hul: un drago. Perché la guerra, in realtà, è tra i draghi “buoni” e i ribelli. Ma il nostro protagonista riuscirà a portare avanti questa missione? E in quale delle due fazioni sarà?

“Kaera’Hul” è un romanzo magnifico e coinvolgente: un libro che riesce a portarci, a farci entrare tenendoci per mano, in un modo diverso, lontano ma, nello stesso tempo vicino a noi. Sembra di leggere il miglior Ludovico Ariosto che abbia letto, amato e digerito J.R.R. Tolkien.

Ma questo non è un bellissimo libro solo per gli elementi che, inevitabilmente, ha in comune con tutto un tipo di narrativa fantasy. No, questo è un libro unico nel suo genere perché ci porta indietro nel tempo. E lo fa usando lo strumento chiave di ogni scrittore: la lingua. Già, la lingua. Se vi siete abituati a quei romanzi fantasy ambientati in un “regno lontano lontano nel tempo e nello spazio” ma in cui i personaggi parlano e fanno cose che qualsiasi newyorkese del 2016 farebbe, questo libro non fa per voi: la lingua di questo romanzo è quella ricercata di un fine medievalista. Troviamo quindi latinismi, costrutti arcaici. Sembra proprio di leggere un vecchio volume rilegato, rubato in una biblioteca polverosa di un vecchio castello medievale.

Lingua perfetta ed immaginario collettivo fantastico, quindi.

Ma non solo.

Nell’introduzione di questo articolo, criticando i fantasy, ho detto che non hanno spessore. E la storia acquista spessore quando i personaggio vengono sfaccettati, quando non sono tagliati con l’accetta e quando, in qualsiasi situazione, possiamo entrare nella mente dei personaggi e capirne i dubbi, le virtù e i vizi.
Ecco, questo libro riesce a fare questa cosa: il nostro protagonista, sebbene sia un eletto, è sempre scosso da dubbi esistenziali. E se pensate che questi dubbi siano semplici, lineari, avete sbagliato di nuovo: il nostro protagonista cerca di fare il bene ma è efferato negli omicidi, ama i propri genitori alla follia, ma nello stesso tempo va in guerra e vince in battaglia, salva una ragazza che sta per essere violentata ma umilia i cadaveri dei suoi nemici.
Ecco, questo significa creare un personaggio umano.

Un personaggio umano, una lingua perfetta, critica sociale e draghi che dominano il mondo. Cos’altro c’è da dire, per convincervi a leggerlo?

Ah, sì: che il buon Vankenbach sta già scrivendo il prossimo della saga.

E noi non ce lo faremo sfuggire

VOTO: 8