“Mamma, guarda: c’è una mucca in giardino!”. Le colazioni psichedeliche dei Pink Floyd: iperrealismo, cereali e mamme dal cuore atomico (di Alessandro Di Giuseppe)

Girando nel meraviglioso mondo dell’Internet, in quel groviglio di tunnel sotterranei sporchi e malfamati fatti di negozi, strip club, bordelli, sale giochi e sale da suicidio, si incontra di tutto: dai complottisti, a chi mette in vendita la sua verginità, a chi parla di musica, a chi si crede esperto di ufologia, zombi e cinema. Internet è anche il luogo in cui completi decerebrati e senza un cazzo da fare nella vita, litigano tra di loro. Il litigio, in realtà, per tutti quelli che, almeno una volta nella vita, si sono fatti crescere i capelli fino alla spalla, hanno risparmiato i soldi per comprarsi un disco, vestivano il giubbotto di pelle come un ennesimo strato di epidermide, si teneva la barba lunga, si lavava poco ed iniziava a suonare uno strumento musicale a caso, è la norma: si litigava su chi ascoltasse la band più brava, su chi fosse il chitarrista più tecnico o veloce (adesso faccio incazzare tutti: Petrucci suona troppo veloce e Malmsteen mi annoia. Puoi smettere di leggere e togliere il “Mi piace” a questa pagina, se ti senti offeso da questa parentesi: non me ne frega un cazzo. “Alessandro, ma perché fai il cattivo?” “Perché io sono un cinico, mamma. Toh, guarda: il video di un gattino che gioca con un gomitolo di lana. Che dolce! Mi ha sciolto il cuore! La vita è bella! Adesso pubblicherò uno stato su Facebook in cui ringrazio tutti quelli che mi hanno fatto soffrire nella vita ed un frase filosofica. Fatto. MMMM, manca qualcosa. Ma cosa? Ah, già: il culo di Belen!”), su quale disco fosse migliore da ascoltare in macchina- o da mettere in sottofondo quando si aveva un momento intimo e igienicamente discutibile con la propria ragazza-, quale fosse più blasfemo, quale avesse la copertina più figa, quale canzone fosse più commerciale di un’altra e tutta una lunga serie di cazzate- già, cazzate!, su cui era bello farsi grandi pippe mentali. Che poi, la cosa bella di quelle “litigate”, era che, in qualche modo, anche soltanto per dimostrare a te stesso che avevi ragione, ti andavi ad ascoltare attentamente tutta una serie di cd, di album live, di compilation, demo, split album, progetti paralleli e passavi la giornata ad ascoltare musica e ad ampliare e migliorare i tuoi gusti musicale. Quelle litigate, quelle fatte tra persone in carne ed ossa e non tra immagini del profilo distanti tra di loro centinaia di migliaia di chilometri, in definitiva, servivano a qualcosa. Che poi, se ci pensiamo bene, le litigate (e, a volte, anche le amicizie) sono finite, la musica è rimasta. Quindi, gran figata litigare di musica. Comunque, nel mio periodo di litigi, c’erano due schieramenti opposti: i metallari e i rockettari. Metallari e rockettari non andavano d’accordo quasi mai. Sì, c’era una linea comune- tutti ascoltavano i Led Zeppelin- ma poi tutti se la prendevano con tutti e finiva sempre che non ci si parlava per un mese. Io, in questo strano gioco, ero uno di quelli che ascoltava la musica estrema (per capirci, adoravano i Mayhem e tutta la scuola black metal, brutal e grindcore) ed ero chiuso a riccio verso tutti gli altri generi. Poi un giorno, grazie ad un mio amico, inizio ad interessarmi dei Pink Floyd, quella che io definivo “musica per frikkettoni hippie” e mi prende. Ma ho scoperto presto che, anche per quanto riguarda i Pink Floyd, c’era gente che litigava- avete capito che non serviva per forza un sito web per litigare?- su quale formazione fosse la migliore (se quella con Syd Barrett o quella senza), su quale disco fosse meno commerciale e sul fatto che, chi non avesse mai ascoltato “Ummagamma” non avesse capito nulla dei Pink Floyd. Io me ne sono sbattuto di tutto e li ho ascoltati fino ad avere a noia “Wish You Were Here”, “Time” e tutto il resto. Mi avevano annoiato. Poi, un pomeriggio, mio padre torna a casa e mi da questo disco, lo metto nello stereo, lo faccio partire e decido che quello è, in assoluto, il mio disco preferito dei Pink Floyd. Ecco perché:

Pink-Floyd-Atom-Heart-Mother-cover-Lulubelle

TITOLO: “Atom Heart Mother”

BAND: Pink Floyd

ANNO: 1970

ETICHETTA DISCOGRAFICA: Harvest Records

TRACKLIST:

1) Atom heart mother (divisa in sei movimenti: “Father’s Shout”, “Breast Milky”, “Mother Fore”, “Funky Dung”, “Mind Your Throats Please” e “Remergence”)

2) If

3) Summer ’68

4) Fat old sun

5) Alan’s Psychedelic Breakfat (divisa in tre movimenti: “Rise and Shine”, “Sunny Side Up” e “Morning Glory”)

Prodotto e distribuito nel 1970, “Atom Heart Mother” è un disco particolare ed unico nel suo genere: chiude, infatti, la prima fase, iniziata con “The Piper At The Gates Of Dawn” (primo dei due album in cui si possono sentire le liriche e la voce del fondatore storico dei Pink Floyd: Syd Barrett) e conclusa con “Ummagamma” e ne inaugura una nuova. In realtà, a parere della band, “Atom Heart Mother” è un disco incompleto, fatto più per vendere copie che per altro e con un pessimo lavoro di mixaggio. Adesso, quando mi è capitato di registrare delle canzoni e di avere un pessimo mixaggio, dei pezzi che registravo si sentiva soltanto la chitarra e il basso, quindi non ci crederei tanto. Vabbé, lasciando le noticine (e i vezzi) tecnici da parte, è un disco intenso. Anche questo, in qualche modo, come tutti gli album più belli, potrebbe essere inteso come un concept album. Questa volta, però, in puro stile Pink Floyd: le canzoni diventano capitoli suddivisi in sottocapitoli. Ed è in questa ottica che la title track va letta: un lungo risveglio, quasi dalle acque di un utero primordiale (il “Father’s Shout” non può che far pensare al Primar Scream) verso una sorta di “colazione” all’alba di un mondo

Pink Floyd Atom Heart Mother Germany (3)

Si passa quindi ad “If”, canzone orecchiabile, dolce e, al contempo, estremamente amara, sulle contraddizioni della vita e sul fatto che soltanto essendo il tutto e il contrario di tutto, soltanto essendo, citando Carmelo Bene, “incoerente come l’aeree e anche di più”, si arriva a vivere la vita. “If” è anche un grido disperato ed un omaggio, prima di “Shine On You Crazy Diamond” a Syd Barrett. Dal 1969, infatti, è stato estromesso dalla band. Il disco continua con “Summer ’68”: una ballata divertita e rilassata pervasa da una dolce malinconia di fondo. Segue “Fat Old Sun”: in un crescendo di dolcezza, tenerezza e noia rilassata. Questo pezzo sembra fatto apposta per il secondo risveglio dell’ultima track strumentale: “Alan’s Psychedelic Breakfast” che, partendo concettualmente dall’ultimo movimento del primo brano (“Remergence”) ci fa entrare, anche fisicamente, con dei campionamenti, nel secondo risveglio. Dando un’altra interpretazione, l'”Atom Heart Mother” può essere inteso anche come la descrizione dettagliata, dilatata, degli ultimi istanti prima del risveglio. E se vi sembra una soluzione campata in aria, andate a cercarvi tutti i messaggi nascosti e rallentati nei pezzi di Pink Floyd. Un album fondamentale anche perché segna il distacco dalla musica “spaziale” e riporta l’attenzione verso il terreno. La famosa copertina, iperrealista, è stata ideata e realizzata da Storm Thorgerson (il genio a cui si deve la copertina di “The Dark Side Of The Moon”) partendo dal manifesto della mucca di Andy Warhol

Warhol

Consiglio a tutti di comprarlo originale: all’interno della custodia, sopra il libretto, quei geniacci hanno scritto il menù del pranzo di nozze dei beduini. Perciò, se volete rilassarvi, svegliarvi, contare le pecore per addormentarvi o cercare un’idea nuova per il vostro menù del matrimonio, questo disco è consigliatissimo

Voto: 9