Nicola Lagioia, “La Ferocia”: quando la mediocrità vince (di Alessandro Di Giuseppe)

Nel 1947, un signore che si chiamava Goffredo Bellonci- nella vita faceva il giornalista e il critico letterario- decise, per ravvivare il salotto letterario di cui faceva parte, di istituire un premio letterario. Lo so che la cosa vi può sembrare una cosa banale , una cosa molto simile a quel capitolo de “Le Affinità Elettive” in cui i protagonisti, annoiati, decidono di fare una gara di Tableaux Vivant (e forse anche un po’ boccaccesca, ma quando “l’intellighenzia” si annoia, decide di fare queste cose), ma decidono che è una cosa figa. Ma siccome Goffredo Bellonci e Maria Bellonci non sapevano come fare, e forse per attirare più gente, decisero di chiedere aiuto ad un tipo che si chiamava Guido Alberti. Guido Alberti, che non era uno scrittore o un artista, ma un imprenditore che vendeva liquore, decise che quello era il modo giusto per farsi pubblicità. E fu così, grazie al suo Liquore, il Liquore Strega, che nacque il Premio Strega. Non so se l’idea originaria del trio fosse quella di ubriacarsi e leggere dei buoni libri, ma presto, prestissimo, diventò uno dei premi letterari italiani più importanti. Per capire meglio la portata, il primo libro, il primo autore che fu insignito di questo prestigioso premio, fu Ennio Flaiano con il suo “Tempo di uccidere” (in realtà un libro scritto su commissione, per la Einaudi, che aveva bisogno di Flaiano e di qualche premio vinto. Ma non apriamo una lunga polemica sulla Einaudi adesso): un ottimo misto tra un diario di guerra ed un giallo. Nel corso del tempo tanti e vari scrittori sono arrivati a vincere il Premio- una volta, anche la Repubblica Italiana l’ha vinto… bah!- e le modalità di concorso, adesso, sono pubbliche. Non dirò che arrivare ad essere candidati sia come entrare in massoneria, ma il concetto è un po’ quello: l’editore deve presentare il libro ad uno degli “amici”- il comitato che sceglie i libri- questo lo legge, lo propone agli altri e si decide se tenerlo o meno in gara o meno. Praticamente, se qualcuno di voi volesse parteciparvi, ricordati che vi serve un editore con i controcazzi per farlo (chi vi dice il contrario mente spudoratamente) e vi scontrerete con tutta una serie di strani magheggi. Comunque, io mi tengo sempre molto ma mooolto alla larga dai libri che hanno vinto il Premio Strega. Perché? Perché, a mio modestissimo avviso, non rappresentano nulla di quello che di buono c’è in Italia. E quando parlo di quello che c’è di buono in Italia, dal punto di vista letterario, intendo: piccoli autori autopubblicati, reading, microeditoria, fanzine,webzine e tutta una fittissima rete di “pubblicazioni sotterranee” che potrebbe fare scuola. Comunque, nonostante la mia spocchia, ho deciso, a gennaio 2016, che volevo recuperare qualcosa del Premio Strega. Ho iniziato da Flaiano (trovi la mia recensione di “Tempo di uccidere” in questa sezione del blog) e mi sono detto: “cazzo! Potrebbero aver pubblicato roba figa”. Poi, casualmente-mi interessava leggere l’autore, non c’entrava nulla la sua candidatura al Premio Strega-, mi è capitato di leggere anche il semifinalista al Premio Strega dell’anno scorso: Paolo Zardi. Quindi capirete che, esaltato da questi due libri, quando mia sorella e suo marito mi hanno regalato il libro vincitore dell’anno scorso mi sono subito fiondato a leggerlo. Pensavo di leggere qualcosa di figo e che mi facesse rivalutare l’Italia. Naturalmente mi sbagliavo.

La Ferocia

Titolo: La Ferocia

Autore: Nicola Lagioia

Editore:Einaudi

Anno: 2014

TRAMA:

Clara Salvemini è una donna sulla trentina, sposata, felice, vive a Bari. Una notte qualunque, decide di lanciarsi contro un TIR guidato da Orazio Basile, autotrasportatore barese. La ragazza muore, l’autotrasportate finisce all’ospedale. Ha perso la gamba. La situazione  sembra conclusa. In realtà i problemi iniziano adesso: Clara Salvemini è, infatti, la figlia di Vittorio Salvemini, un noto costruttore iper corrotto del sud Italia e la donna era nuda, coperta di sangue. Vittorio cercherà in ogni modo, con ogni mezzo, di metter tutto a tacere e, per farlo, oltre che ai suoi due fidati scagnozzi, chiederà l’aiuto dei suoi figli: Ruggero, primario di oncologia e Michele, il figlio avuto da una scappatella, ma cresciuto nella loro famiglia. Riuscirà il nostro “eroe” a gestire tutto? E Gioia, la minore dei figli,iscritta all’università, riuscirà a dominarsi. I vecchi contrasti della famiglia saranno appianati? Il patriarca dei Salvemini riuscirà a farla franca di nuovo?

 

Quarto romanzo dell’autore barese Nicola Lagioia, “La Ferocia” è un’opera che, a mio avviso, non può che definirsi volgare, noiosa e superflua. Ammetto di non aver letto null’altro di questo autore, nonostante il suo primo libro sia stato pubblicato dalla Minimum Fax: una di quelle case editrici belle e da tenere sotto controllo, ma di questo libro non posso parlare bene. Ci sarebbero tante cose da dire e voglio essere completo.

Partendo dall’inizio: la trama, che nel suo “soggetto” poteva anche essere interessante, sebbene non particolarmente innovativa (per i lettori più navigati e quelli che amano autori come Spillane e gli altri grandi maestri del noir e dell’hard boiled non ci sarà nulla di nuovo), è letteralmente buttata via. Per carità, non sono uno di quei lettori che pretendono una trama scorrevole- se pensiamo che un capolavoro come “Ulisse” di James Joyce non ha praticamente trama, tutto cambia-, ma in questo caso, per questa storia, che è chiaramente un noir, una scelta del genere sarebbe stata molto coraggiosa, se non fosse stata completamente deleteria e non avesse contribuito a distruggere un romanzo che era già destinato ad essere dimenticato. Comunque, nonostante, ricorrendo alla sospensione dell’incredulità, posso arrivare ad immaginare che la trama ci sia, i personaggi sono tagliati con l’accetta: la sorella troietta, il fratello succube del padre, il padre affarista, la sorellina bruttina ma che fa la dura con i più deboli,il fratello adottivo schizzato che poi, alla fine del libro, si vendica e fa la merda e la madre asservita. Non so che libri legga Lagioia, ma Verga, perché è a questo tipo di letteratura che sembra rifarsi, era molto ma molto più bravo e sfaccettava molto ma molto meglio i personaggi.

Io sono un grande amante dei flashback e delle digressioni: le uso sempre ed amo i libri che sono fatti di questo perché mi sembrano più vivi, più veri. Un esempio tra tutti, “Il Sale” di Del Amo. Ecco, una cosa che mi ha infastidito di questo libro, sta nel fatto che tutti gli eventi, dal più grande al più insignificante, siano narrati da tutti e ripeto TUTTI i personaggi. Potreste obiettarmi che sapere il punto di vista di ogni personaggio, rende la vicenda interessante. Beh, in questo libro non è così: tutti i personaggi raccontano la stessa vicenda dallo stesso punto di vista. Non si aggiunge nulla.

Ho trovato personalmente inutile ed eccessivo il ricorso a scene di sesso e di autoerotismo. E non lo dico perché sono un bigotto, lo dico perché, in questa storia sono inutili.

Un libro brutto e noioso che vorrebbe fare critica sociale ma non ci riesce

Tenetevene alla larga

 

Voto: 2