“…Sono sicuro, non sono ormoni: lui è IL FIGLIO DI SATANA!”. “Martin”: George Romero e l’adolescenza (di Alessandro Di Giuseppe)

L’altra sera, mentre cercavo di trovare qualcosa di intelligente da scrivere (tranquilli, penso a questa cosa soltanto una o due volte all’anno e poi non ci riesco mai), mi sono messo a spulciare le vecchie foto che avevo sul pc.
Lo so cosa state pensando ma no, non stavo spulciando il mio archivio con il meglio delle porno pic di Reddit.
Le foto che stavo guardando erano vecchie foto che mi hanno scattato nel corso dei miei anni di adolescenza, durante feste di compleanno a cui non volevo partecipare.
Una cosa interessante che ho notato in quelle foto, oltre al mio viso sempre serio e al fatto che avevo i capelli lunghi, è che indossavo il completo classico da adolescente disadattato.
Per chi di voi si fosse dimenticato di come ci vestivamo noi adolescenti disadattati, vi rinfresco la memoria: magliette rigorosamente nere, preferibilmente con stampato sopra qualche teschio-mostro-logo di qualche band-scritta strana; jeans due taglie più grandi; scarpe rovinate, giubbotto scuro.
Oltre a queste norme d’abbigliamento era necessario avere i capelli lunghi, portali spettinati, essere magri, ascoltare musica deprimente, guardare film horrore dormire poco.
Ecco, tirando le somme della mia adolescenza, era un po’ come partecipare alla Blue Whale Challenge prima che diventasse di moda.
Comunque, guardando quelle foto-in metà delle mia foto frontali non mi si vede la faccia perché tatticamente coperta da una chioma di capelli fini e sfibrati-, mi è tornato in mente quel periodo della mia vita in cui ero vulnerabile e il mio cinismo era ancora in germe e mi è scesa una lacrimuccia. Perché, nonostante le insoddisfazioni, l’adolescenza si rimpiange sempre e, praticamente tutti, se potessero tornare indietro, farebbero le stesse cose ma molto più grevi.
Essere grevi e molesti, durante l’adolescenza, era bellissimo perché, fateci caso, cercavamo di fare di tutto per assomigliare al personaggio di Harold in Harold e Maude o a Marilyn Manson nel video di The Disposable Teens, ma poi piangevamo per i film di Tim Burton.
Già, bei periodi.
E quando abbiamo iniziato a fumare di nascosto, non sapevamo nasconderci e tornavamo a casa che puzzavamo da lontano? Vi ricordate quei bei momenti?
Che poi, se dobbiamo essere sinceri, dobbiamo anche un po’ ringraziare i nostri genitori se siamo riusciti ad uscire, quasi sani e salvi, da quei cinque anni. E non è per fare un discorso buonista e nazionalpopolare, ma è la verità: se adesso, a ventisei anni, foste costretti a vivere con un ragazzino rachitico che si veste sempre di nero, ha un colorito cadaverico, parla sempre di morte, non esce mai, guarda solo L’esorcista, Hellraiser e la saga di Saw dalla mattina alla sera, non lo portereste diretto al più vicino C.T.O.?
Beh, se vi dicessi che qualcuno, nel 1977, ci ha mostrato questa deriva ed ha confezionato tutto mettendoci in mezzo donne nude, drammi esistenziali e critica alla famiglia e alla religione? Continueresti a leggere questo articolo?

 

 

 

 

 

 

 

 

TITOLO: Martin
TITOLO ORIGINALE: Wampyr
ANNI: 1977
REGIA: Geroge Romero
CASA DI PRODUZIONE: Luaren Entertaiment Inc.
CAST: John Amplas, Lincoln Maazel, Christine Forrest, Elyane Nadeu, Tom Savini, Sara Venable, Roger Caine, George Romero, James Roy

 

TRAMA:
Martin, quindicenne “perduto”, viene spedito dai genitori nella piccola cittadina di Braddock a casa dello zio, cattolico fino ai limiti del parossismo. Martin vive la sua vita nella costante paura delle donne, non ha amici e a casa viene emarginato perché creduto un vampiro. L’unico contatto vagamente umano che ha, oltre che alle poche e banali chiacchierate di circostanza con la zia e la cugina, è quello di una radio notturna a cui telefona praticamente tutte le notti. Ma cosa succede quando, sul treno cui è arrivato, trovano il cadavere di una donna? E perché Martin, nascosto sotto il letto, ha un set di siringhe? E perché, dopo averle falciato il prato, Martin passa i pomeriggi con la sua vicina di casa?

George Romero (pace all’anima tua. Mi manchi tanto!) è stato uno di quei registi che verranno ricordati in eterno perché ha praticamente inventato qualcosa di cui l’horror non può più fare a meno: gli zombi!
Sì, adesso è facile ragionare in termini di horror con gli zombie ma prima del 1968, prima dell’uscita di Night of living death, non esisteva la figura dello zombi moderno, del morto vivente che, lentamente (sì, esatto: gli zombi non corrono), si avvicina e vuole il tuo cervello.
Sugli zombies di Romero hanno già scritto e potremmo scrivere centinaia di migliaia di pagine, ma in questo articolo vogliamo parlare di un film che esula dagli horror tradizionali e ci porta in terreni e tematiche che, almeno per mia memoria, il regista e sceneggiatore più cattivo e pacioccoso del mondo, non tratterà più.
Procedendo con ordine, il film si apre su una magistrale scena di violenza su un treno: il nostro protagonista, seguito con un’inquadratura stretta, si avvicina alla sua vittima, una donna sulla trentina, la addormenta, la spoglia, le pratica due forellini sul collo, si spoglia e, dopo aver assaggiato il suo sangue, giace disteso con lei per qualche minuto.
L’inizio con il botto ci mostra due cose fondamentali del nostro protagonista: la prima è il suo modus operandi da aggressore (attaccherà soltanto donne, le addormenterà e poi si sdraierà accanto a loro), il secondo è la natura quasi pura del suo agire. Se è vero che aggredire una donna e sforacchiarle il collo non è la cosa più pulita del mondo, dagli sguardi che Martin lancia al corpo ormai dissanguato, capiamo che la sua, in realtà, è soltanto voglia di affetto, voglia di aprirsi ed essere coccolato.
Il film prosegue: Martin arriva a Braddock e facciamo la conoscenza degli zii che lo ospiteranno: una famiglia alta borghesia e borghesemente convinta che per essere dei bravi cittadini, bisogna essere dei bravi cristiani.
Il cristianesimo degli zii-proprietari della classica casa in legno pitturata di bianco con giardino e cuccia per il cane- però, lo scopriamo presto, non ha nulla a che fare con l’essere dei veri cristiani: Martin viene subito attaccato da suo zio che, convinto che sia diventato un vampiro posseduto dal demonio, lo sottopone alla segregazione in camera e ad una lunga sequela di preghiere ed esorcismi al limite del paradossale.
Martin, però, lo capiamo subito, è soltanto un adolescente come tanti altri che, attraversando una fase difficile della sua vita-amore ed odio per la sua famiglia, non accettazione della sua forma fisica e del suo essere, attrazione e repulsione verso le donne e il sesso-, perde la rotta e non sa cosa fare.
Le parti più commuoventi del film, abilmente inserite per tutta la narrazione, sono quelle in cui Martin, non sapendo con chi sfogarsi e cercando attenzioni, telefona ad una radio che trasmette soltanto di notte e confessa tutto: è lui il killer delle donne ed è malato di una malattia strana: è un vampiro!

 

 

 

 

 

 

 

Naturalmente nessuno degli speaker crede alla sua storia e la vita di Martin, tra piccoli lavoretti (lo zio lo costringe ad essere un membro produttivo e “normale” del circondario), uscite notturne a caccia di “vittime” ed esorcismi.
La situazione si sblocca quando Martin, durante un giro di consegne, riesce a conoscere una giovane quarantenne sposata che, provocandolo, riesce a sedurlo.
Questo è il vero punto di svolta del film: Martin smette di uccidere e si concede a quella che, per la prima volta, gli sembra una relazione sana. Ma ciò che per la donna è normale (tutte le buone famiglie della borghesia bene hanno tresche di cui non si parla), per Martin diventa il centro del suo mondo: le uscite notturne lo portano sempre da lei e lui, innamorato, non riesce a capire l’assurda situazione di un matrimonio falso.
Lo zio, sempre più convinto che Martin sia un vampiro decide di inchiodargli una corona d’aglio sulla porta. Le due sequenze che seguono sono meravigliose: Martin esce dalla porta, strappa la corona d’aglio ed esce. Lo zio, spaventato, armato di acqua santa e crocifisso, lo segue nella notte. Vediamo Martin vestito come Dracula che cammina si avvicina allo zio e, togliendosi i denti finti, gli chiede qualcosa che ci fa raggelare il sangue “è questo che tu vuoi che sia? Ti ho accontentato?

Ci avviciniamo alla fine del film. Martin vorrebbe la donna tutta per sé, lo zio vuole liberare la sua anima ed entrambi, l’uno alla radio e l’altro in preghiera, confessano con dolore quello che stanno per fare.

Film coraggioso ed inclassificabile-troppi momenti morti per un horror e troppo sangue per un teen movie-, Martin è una piccola perla che ci fa pensare, che ci fa domande e che critica le grandi istituzioni americane: lo Stato, la religione e la famiglia.
Romero, da buon vecchio Hippie qual’era in questo film-per inciso, è il suo preferito-sembra dirci una cosa importante: il nostro corpo e la nostra vita sono nostre, tutto il resto è sovrastruttura.