C’erano un russo e un inglese in Nord America. “Eisenstein in Messico”: quando un artista omaggia un genio ( a cura di Alessandro Di Giuseppe)

Ok, gioco interattivo:  se vi dico “La Corazzata Potemkin” cosa vi viene in mente? Non pensateci troppo, la prima cosa che vi viene. Ok, adesso, da bravo mago quale sono, vi dirò cosa state pensando… un attimo… la sto visualizzando… eccola… sta arrivando… ok, ce l’ho! State pensando a Fantozzi che, dopo l’ennesima proiezione del film, sale sul palco del teatro aziendale, guarda la platea e dice: “La Corazza Potemkin è una cagata pazzesca!” e poi la voce fuori campo di Paolo Villaggio che commenta: “Novantasette minuti di applausi!”. Come lo so? Beh, la risposta è semplice: con quel film ci siamo cresciuti tutti e tra quei tutti, in molti, non  non l’hanno neanche mai visto quel film. Io sono tra quelli che, per un motivo o per l’altro (il mio motivo si chiamava “Esame di Istituzioni di storia e critica del cinema”), è finito a guardarlo. Ma questa non è una recensione sulla “Corazzata Potemkin” o sull’estetica di Ejzenstejn (ho guardato troppi pochi suoi film, di cui il mio preferito è “Sciopero”, e non ho così tanta esperienza per poterne parlare), no, questa è la recensione di un film che con Ejzenstejn, o meglio, con l’idea di Ejzenstejn, c’entra molto. Di solito, per introdurre i film di cui parlo, non scrivo mai righe e righe sui registi, sulla storia della lavorazione del film, sulle influenza culturali e artistiche che ci sono dietro, ma questa volta qualche informazione basilare per introdurvi al film, è opportuna. E per farlo devo partire dal raccontarvi una storia, una storia strana di un film incompleto, parzialmente recuperato (diciamo che ne esiste un “premontato”) ed editato, con l’aiuto di Grigorij  Aleksandrov, allora aiuto regista di Ejzenstejn, dalla mosfilm, che si chiama “Que Viva Mexico!”. “Que Viva Mexico!” è un film che Ejzenstejn ha pensato ed iniziato a girare nel 1931. Due mesi di lavorazione, centinaia di chilometri di pellicola girata, per quella che doveva essere un’opera globale sul Messico. Un film che, da quell’ora e mezza che sono riuscito a guardare e dai commenti di Aleksandrov, doveva essere diviso in quattro episodi che spaziavano dal documentario alla ricostruzione storica al cinema di finzione. Un’opera ambiziosa ed interessante, in anticipo di ventisette anni su “India” di Rossellini e di quarantadue su “Historia do Brasil” di Glauber Rocha. Un film mondo, forse il primo, che doveva essere girato dal più grande teorico e regista di sempre. Le pellicole, però, una volta tornate alla Paramount, in quel periodo Ejzenstejn si era trasferito ad Hollywood per girare, non vennero stampate né riconsegnate. Il film era girato, ma perduto. Ecco, dopo questa introduzione, tranquilli: vi servirà per capire il contesto del film, partiamo con la recensione

 

eisensteininguanajuato

Regia: Peter Greenaway

Anno di produzione: 2015

Cast: Elmer Back, Stelio Savante, Lisa Owen, Luis Alberti, Jacob Ohrman, Rasmus Slatis, Raino Ranta

 

 

 

La storia inizia in Messico, nella città di Guanajuato, dove, dopo i grandi successi riscossi con i film “Sciopero!”, “Ottobre” e “La Corraza Potemkin”, il regista Sergei Eisenstein (Elmen Bak), accompagnato dai suoi operatori è deciso a girare un film. La sua guida, nella città sconosciuta, è Palomino Canedo ( Luis Alberti).  Tra un film da girare, i fondi che stanno finendo, tre Cammorristas sempre presenti, guardie del corpo, produttori arrabbiati ed impazienti e la Russia di Stalin in agguato, tra il regista e la sua guida nascerà una strana lieson. Ma tutto, in Messico, è diverso, oscuro, festoso e  colmo di morte.

 

Peter Greenaway, che ho amato alla follia dopo aver guardato “Lo Zoo Di Venere” e “I Racconti Del Cuscino”, firma quello che, a mio avviso, è uno dei migliori film di quest’anno. Il piacere visivo di questo film, non dimentichiamo che Greenaway è anche uno dei più importanti ed influenti videoartisti moderni, è pari a quello di una film di Godfrey Reggio. Geniale l’uso dello split screen, dei grandangoli, dei piano sequenza. Un film colmo di inesattezze storiche, che della storia, sia quella con la S maiuscola che della storia del cinema, è innamorato. Un film teatrale e d’avanguardia. Duro e carnale come il teatro, dolce e sognante come il cinema. Pellicola sboccata, eccentrica, irriverente, colma di macchiette. Grande riflessione sulla crescita, sul corpo, sull’esperienza, sul sesso e sulla morte. Chi non amerà questo folle Eisenstein che racconta, a ruota libera e con l’innocenza di un bambino, la storia della Paramount, della Universal, della Russia,  dell’evoluzione di un’arte, quella cinematografica,  e della letteratura, del mondo e del Messico, beh, che guardi l’ennesimo film dei Vanzina, che butti sei o sette euro e cinquanta per vedere Raul Bova che è tanto bello e divertente. Un film senza censura che della nudità maschile, che mostra senza tabù, con l’ironia e il cinismo che solo chi lavora nell’ambito del cinema e del teatro può avere,  non si vergogna. Questa è nudità artistica! Questa è un’opera d’arte. Durante la proiezione a cui ho assistito, in una sala semideserta, una coppia, dopo la seconda o terza inquadratura in primo piano del pene del protagonista, è uscita dalla sala. Non lo capisco. Il film è chiaro, su questo punto, lo dice dall’inizio: il cinema mostra gente che scopa e gente che muore. Sergei, nel film, è uno sboccato bambino che non fa sesso, ne parla sempre e non perde occasione per fare una battuta di cattivo gusto, specialmente in presenza di donne. Se vi imbarazza tanto che un regista mostri un pene in un film, lo dico soprattutto ai maschietti, allora dovreste iniziare a farvi due domande. Un film perfetto, senza sbavature, che riguarderei un centinaio di volte al cinema. Consigliatissimo. E non guardatelo in streaming: questo è uno di quei film, insieme a “Blue” di Jarman, che SI DEVONO guardare al cinema. E se la scena di sesso gay vi infastidisce, beh, gli organi genitali che vedete ripresi in un film, sono gli stessi che guardate voi tutte le mattine, quando andate a fare la pipì in bagno, o vi divertono tanto quando sono sbattuti sulla faccia di una ragazza che dice :” Stai facendo un video? Bravo!”. Questo è un film magnifico e mi dimostra come Greenaway, sessantasette anni dopo la morte del più grande teorico e artista del montaggio e del cinema, sia riuscito a realizzare, finalmente, il “montaggio delle attrazioni” definitivo: quel connubio di cinema, arte pittorica, teatro e musica che Ejzenstejn aveva teorizzato e non ha potuto mai realizzare in modo completo

Voto: 10

Trailer:  http://https://www.youtube.com/watch?v=XfVf8fAUbsA